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Quando faremo camminare le idee dei giudici Falcone e Borsellino sulle nostre gambe avremo sconfitto definitivamente la mafia. Solo i giovani hanno questo potere, ma per farlo devono essere liberi, devono rifiutare ogni compromesso. Ecco perché dico loro di non bussare mai alle porte per chiedere favori e privilegi, perché poi ci sarà sempre qualcuno che tornerà a chiedere la restituzione di quei favori. Ricordiamo che la mafia continua a esistere, ha messo da parte la lupara, ha indossato una giacca e una cravatta e proprio per questo è più pericolosa, perché si insinua più facilmente nei posti di potere ed è più difficile da riconoscere, diventa invisibile.

Lo ha detto il Generale dell’Arma dei Carabinieri Angiolo Pellegrini, Comandante della Sezione Antimafia di Palermo dal 1981 al 1985, protagonista del secondo evento organizzato dall’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ di Pescara, nell’ambito del XXV Premio Nazionale ‘Paolo Borsellino’.

Presenti all’iniziativa, oltre al Generale Pellegrini, uomo di fiducia del Pool antimafia di Falcone e Borsellino, autore di alcune delle più importanti indagini nei confronti di Cosa Nostra e del volume Noi, gli Uomini di Falcone – La guerra che ci impedirono di vincere, la Dirigente dell’Istituto Alberghiero Ipssar ‘De Cecco’ Alessandra Di Pietro, organizzatrice dell’iniziativa, Daniela Puglisi per l’Ufficio Scolastico Provinciale, il docente e attore Edoardo Oliva che ha letto un brano del volume, Francesca Martinelli come referente del Premio Borsellino, Don Antonio De Grandis Presidente del Tribunale Ecclesiastico Regionale di Abruzzo e Molise, e le docenti di riferimento del Premio Renata Di Iorio, Rossella Cioppi, Roberto Melchiorre e Rosa De Fabritiis, oltre a una delegazione, necessariamente ristretta causa Covid-19, di 10 studenti.

“Il Premio Borsellino ha sempre un forte impatto sui nostri studenti grazie alla testimonianza che ci arriva da magistrati, esponenti delle Forze dell’Ordine, uomini di chiesa, cittadini comuni, che hanno avuto la forza e il coraggio di portare avanti la guerra contro le Organizzazioni criminali – ha sottolineato la dirigente Di Pietro – e infatti il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca ha definito come ‘percorso d’eccellenza’ il nostro progetto sulla Legalità. Le testimonianze hanno l’obiettivo di trasmettere un messaggio forte di giustizia ai nostri ragazzi, un monito a rifiutare le logiche mafiose ed è importante raccontare ai nostri studenti, che negli anni della strage di Capaci e di via D’Amelio non erano neanche nati, cosa hanno significato quegli anni, cos’è stata la seconda ondata delle stragi di mafia, che hanno segnato lo spartiacque tra una guerra in cui morivano i Dalla Chiesa, i Chinnici, e una fase di consapevolezza e di ribellione, di rispetto e di cambiamento, di cui la scuola dev’essere custode e garante”.

“Quando sono arrivato a Palermo, agli inizi degli anni ’80, la mafia era fortissima, si riteneva più forte dello Stato – ha ricordato il Generale Pellegrini -, la Sicilia era ‘Cosa Loro’ ed era gravissimo se pensiamo che era una regione dello Stato italiano in cui però comandava la mafia perché per anni si era trascurata l’importanza di combatterla e tante persone avevano approfittato dell’amicizia con i mafiosi per trarne benefici reciproci, specie quando c’erano le campagne elettorali. La mafia aveva la convinzione di essere padrona della Sicilia e i mafiosi godevano di una doppia cittadinanza, quella data dall’appartenenza a ‘cosa nostra’ e quella di cittadini italiani. La mafia si era arricchita con il traffico di droga, di eroina, venduta negli Stati Uniti da dove arrivavano centinaia di migliaia di dollari. A Palermo c’erano cinque distillerie di droga che veniva portata negli Stati Uniti da cui tornavano indietro centinaia di migliaia di dollari che poi la mafia provvedeva a riciclare con una serie di investimenti e attraverso un’altra componente della mafia stessa che è la corruzione politica. Pensiamo alla vicenda del ‘sacco di Palermo’, a Salvo Lima, che non poteva rifiutare e ha dovuto firmare in una notte quattromila licenze edilizie per permettere a Rosario Spatola di costruire 4mila palazzi a Palermo distruggendo le più belle ville liberty che esistevano da piazza Libertà fino al mare. E proprio quegli appoggi politici hanno permesso che per anni tutti i processi a carico di mafiosi finissero con assoluzioni per insufficienza di prove, era impossibile trovare le prove. E quando la mafia si è sentita più forte dello Stato, a fine anni ’70, ha lanciato la sua sfida allo Stato stesso uccidendo tutti coloro che pure avevano tentato di contrastarla, come il Presidente della Regione Piersanti Mattarella, fratello del nostro Presidente della Repubblica, il Procuratore Costa reo di aver firmato 55 ordini di cattura proprio per il ‘sacco di Palermo’, il capo della squadra mobile Boris Giuliano che aveva capito i canali attraverso i quali la droga prodotta in Italia arrivava negli Stati Uniti e rispediva in Italia i dollari, e poi il Capitano Basile, arrivato dopo Giuliano, ucciso di spalle mentre teneva in braccio la sua bambina per guardare i fuochi d’artificio della festa di paese. Gli hanno sparato tre balordi di tre diverse famiglie mafiose che, arrestati dai Carabinieri pochi minuti dopo l’omicidio, sono stati assolti per insufficienza di prove”.

La dirigente Di Pietro ha allora introdotto il tema della “scultura in Pietra della Majella realizzata a Castelli, che raffigura i giudici Falcone e Borsellino, rimasta nel cortile della nostra scuola per due giorni, e che si chiama Il Sorriso”.

Foto di gruppo con generale Pellegrini2
Foto di gruppo con generale Pellegrini

“Il Sorriso – ha ripreso il Generale Pellegrini – è quello che si scambiavano sempre Falcone e Borsellino, quello con cui si vincevano le avversità e gli attacchi diretti, quando ci accusavano di combattere la mafia per avere visibilità, per fare carriera, dicevano che Falcone aveva interessi politici, noi ci scambiavamo un sorriso e andavamo avanti e in dieci anni abbiamo costretto lo Stato ad ammettere che la mafia esisteva e che aveva un vertice con un uomo che si chiamava ‘Papa’, Michele Greco, e che c’erano collusioni della cupola con il potere politico e con quello imprenditoriale. La seconda guerra di Mafia ha portato 300 omicidi, uno al giorno, 150 bare bianche, gente che spariva e non si trovava più, poi si scoprirà che venivano uccisi e gettati in una vasca piena d’acido. Con Falcone e Borsellino abbiamo vinto il sentimento della paura e di fronte all’indifferenza di tanti abbiamo trovato un riferimento in colui che fu il promotore del pool antimafia, Rocco Chinnici e attraverso quel pool il giudice Falcone ha stravolto i metodi investigativi, non inseguendo gli omicidi, ma i soldi, facendo abolire il segreto bancario, aveva capito che la guerra di mafia era in realtà una guerra di potere. Il giro di boa fu l’assassinio del generale Dalla Chiesa, mandato a fare il Prefetto a Palermo senza poteri, ma il suo omicidio risvegliò la Palermo dei cittadini perbene. Qualcuno, però, non ci ha voluto far vincere la guerra alla Mafia e lo ha fatto lasciando solo Falcone: nell’84, arrivato il giudice Caponnetto, dopo le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta e i 366 mandati di cattura, la mafia capì che questa volta avevamo fatto le cose in modo serio, e per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, alla vigilia di Natale dell’84, mise la bomba sul treno Rapido 904. Ma si comprese subito che non era terrorismo, ma un attentato di mafia, e allora la mafia comprese che dovevano combattere Falcone. Per prima cosa – ha ricordato il Generale Pellegrini – gli hanno tolto tutti i più stretti collaboratori, me compreso, poi il primo attentato fallito, che però non fermarono Falcone, arrivando alla sentenza definitiva del maxi-processo in Cassazione con 19 ergastoli ai capimafia, e 2.265 anni di reclusione ai gregari. A quel punto Falcone andava punito, andava ucciso, nella sua Palermo e in modo eclatante, per evitare che andasse a capo della Procura Nazionale Antimafia a Roma. Ho voluto raccontare quegli anni a Palermo per lasciarne memoria ai ragazzi, ai giovani, per ricordare loro che il compromesso non è mai la strada per raggiungere l’obiettivo”.

“Credo che sia questo il messaggio più forte del Generale Pellegrini – ha concordato la dirigente Di Pietro – ossia: essere liberi significa non dover mai essere condizionati nelle proprie scelte. E poi: è chiaro che la mafia c’è dove lo Stato è fragile, assente, e dove non sono tutelati i diritti primari alla salute, alla giustizia, al lavoro e la mafia diventa un welfare sostitutivo. E allora ai nostri ragazzi diciamo di combattere per i loro diritti che non devono essere un privilegio per pochi”.

“Ritengo fondamentali giornate di formazione in cui a farla la da padrona è il tema della legalità – ha detto la responsabile dell’Ufficio Scolastico Puglisi – e credo che, per tali iniziative, l’Istituto Alberghiero possa a buon diritto fregiarsi di un marchio di qualità”.

 

 

21 Ottobre 2020