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Tag Archives: turismo regionale

spoltore

A Spoltore la storia e l’arte sono “di casa”: solo in giorni speciali e sempre su prenotazione, si possono visitare luoghi che raccontano fatti e curiosità del borgo e che lasciano scoprire, almeno con una ricostruzione, l’originaria configurazione della città medievale.

In questa edizione inedita (fino al 21 agosto), promossa ed ideata dalla Pro Loco di Spoltore e Terra dei 5 Borghi, che sposa “Dimore”, la mostra diffusa di arte contemporanea (pittura, scultura e fotografia) e la 40° edizione dello Spoltore Ensemble, il pubblico sarà coinvolto nell’intima atmosfera della vita quotidiana degli abitanti, avendo il privilegio di vedere bregni, neviere, cisterne e ascoltare curiosi aneddoti, e saranno inoltre aperte al pubblico alcune dimore storiche non fruibili durante le altre edizioni di “Spoltore Nascosta”.

Sono tanti i lati nascosti di Spoltore, dove anche le case storiche “insegnano” e possono rivelarsi veri e propri scrigni di opere d’arte. Chiunque vorrà partecipare sarà accompagnato da guide e/o accompagnatori turistici regolarmente iscritti agli Albi regionali.

Il punto di ritrovo è sempre piazza Di Marzio – Spoltore e la durata del percorso è di 1 ora e 30 minuti con orario 18 – 19.30.

La quota di partecipazione è di 10 euro; evento gratuito per bambini con età inferiore ai 6 anni, disabili, accompagnatori e guide turistiche. Per info e prenotazioni 350.1811922.

 

 

by Redazione
castel del monte

Castel del Monte (Aq), 1.346 m.s.l.m., è uno dei Borghi più belli d’Italia; posto all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, è arrampicato sul Monte Bolza si affaccia splendidamente sulla valle del Tirino.

Pochi luoghi come questo sono riusciti a custodire le antiche tradizioni di un mondo ormai scomparso, rendendole volano per il turismo.

La storia di questi luoghi è antichissima: proprio qui infatti fu combattuta nel 324 a.C. la guerra che vide prevalere i romani sui vestini. “A ricordarcelo – spiega lo scrittore abruzzese Peppe Millanta – è il colle chiamato non a caso “della Battaglia”, dove sono presenti ancora i resti dell’antico insediamento italico”: ed è qui che si concentra una nuova puntata di Quota Mille, rubrica a cura di Paolo Pacitti, con le telecamere Rai di Sem Cipriani.

“Successivamente – prosegue Millanta – fu ricostruito un abitato romano, ma quando fu distrutto secoli dopo con l’arrivo dei longobardi gli abitanti si incastellarono: il nuovo abitato fu così chiamato ‘Ricetto’, ovvero ‘Ricettacolo’ di genti fuggiasche, e corrisponde alla parte più arroccata del paese odierno, che contiene al suo interno chiare tracce medievali”.

La ricchezza del borgo è legata alla transumanza, complice la vicinanza con la piana di Campo Imperatore. E a ricordarlo è la chiesa, detta Madonna dei Pastori, che sorge quasi a strapiombo sulla sottostante valle.

I proprietari delle greggi facevano a gara per abbellirla, e di particolare rilevanza è il grandioso altare in legno scolpito, e rivestito in oro, capolavoro dell’arte barocca. Al centro è possibile vedere anche una statua della Vergine, vestita con l’antico costume del paese.

Come riporta Millanta: “Proprio questa statua è al centro di un rito dove riecheggia l’antico mondo transumante: il 2 luglio infatti, nel giorno in cui i pastori tornavano a casa, la statua della Madonna viene portata in processione presso un’altra chiesa, per poi venire riportata qui l’8 settembre, quando i pastori tornavano si preparavano a ripartire”. 

Uno dei problemi principali dei centri fortificati in alta quota è la perenne mancanza di spazio, a Castel del Monte la popolazione ha cercato di rimediare con un sistema caratteristico: gli sporti ossia archi che vanno a formare delle gallerie, scavate nella pietra, che coprono le strette vie del borgo, permettendo così al di sopra di sviluppare due o più piani abitati, guadagnando spazio per le abitazioni.

Il loro fascino arcano ha permesso il fiorire di leggende, come quella delle streghe, tramandataci dal poeta pastore Francesco Giuliani, che racconta come questa fosse una via magica, che permetteva alle donne del paese di scacciare via le streghe che attentavano alla salute dei neonati.

“Ma c’è anche un’altra curiosità che vi voglio raccontare – conclude Millanta – Si tratta della pietra, posta al di fuori della chiesa di San Rocco. Ebbene, sopra di essa venivano conclusi, in una sorta di patto sacrale, gli accordi fatti tra gli abitanti che prevedevano prestiti. Una sorta di pietra dei contratti potremmo dire: quanto veniva prestato, come ad esempio del cibo in anni di magra, andava restituito qui, sotto gli occhi del santo”. 

Il viaggio tra i borghi d’Abruzzo continua su Buongiorno Regione; novità, curiosità e qualche piccola anticipazione sono sulla pagina Facebook  https://www.facebook.com/peppemillanta, dov’è possibile saperne di più anche sulla puntata dedicata a Castel del Monte.

 

by Redazione
campotosto

Campotosto (Aq) 1.420 metri sul livello del mare, è uno dei centri abitati più elevati dell’Appennino: è rinomato per il suo magnifico lago, a cui dà il nome.

È posto all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga e il suo territorio, scarsamente antropizzato, restituisce un ambiente montano quasi del tutto integro.

Il nome sembrerebbe venire dalla lunga disputa per il possesso di questi territori tra l’Aquila e Amatrice. Una lotta senza esclusioni di colpi, che portò anche all’incendio dei campi, da cui campo tostato, e poi Campotosto.

I numerosi eventi sismici che si sono succeduti nel tempo danno oggi al paese uno stile architettonico piuttosto moderno, con poche rimanenze di tracce storiche.

Del passato resta una piccola chiesa dedicata a Santa Maria Apparente: “Leggenda locale racconta che nel 1604 la Madonna apparve a una giovane muta del luogo, intenta a fare i panni nel vicino fiume: voleva che le venisse eretta una chiesa, e ne disegnò la pianta a terra con una nevicata fuori stagione. La ragazza, allora, tornò in paese e miracolosamente fu in grado di raccontare, con la sua voce, l’accaduto”.

Così spiega lo scrittore Peppe Millanta che con le telecamere Rai e Sem Cipriani ha raggiunto il posto per la rubrica a cura di Paolo Pacitti,  Quota Mille.

Nell’area di Campotosto è ancora presente la poesia a braccio, tipica dei pastori transumanti, che improvvisano usando la difficilissima tecnica dell’ottava rima.

La sua origine risale ai tempi antichi quando i pastori, durante i lunghi viaggi e le lunghe solitudini con le greggi, imparavano a memoria i versi di classici come Dante, Ariosto o Tasso.

Quei libri, veri e propri tesori, una volta finiti venivano lasciati lungo i tratturi, a disposizioni degli altri pastori, in una sorta di bookcrossing pastorale.

Erano costretti a farlo di nascosto perché i padroni delle greggi non vedevano di buon occhio lo studio, che era in qualche modo “sospetto”, portatore di ribellione.

E quei versi, quel ritmo, diventavano la base per inventare nuovi versi, spesso in risposta a un altro poeta in un vero e proprio ‘certamen’.

La tradizione della poesia a braccio qui ancora sopravvive e ogni anno è celebrata in una gara che si svolge a Mascioni che accoglie decine di turisti e curiosi.

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by Redazione
scanno

Scanno (Aq), 1.050 metri sul livello del mare, una delle perle d’Abruzzo, si trova nella meravigliosa Valle del Sagittario. Storia, arte e natura rendono il paese uno dei più apprezzati della Regione abruzzese, e l’omonimo lago le conferisce un tocco magico che ha pochi eguali.

“E’ davvero impossibile descrivere tutte le bellezze di questo posto, famoso per i fotografi che l’hanno immortalato, per gli abiti tradizionali, per l’arte orafa, per il suo centro storico: ogni angolo di Scanno ha infatti una bellezza da mostrare. Ogni vicolo è una meraviglia da scoprire”  esordisce lo scrittore Peppe Millanta che con le telecamere Rai e Sem Cipriani ha raggiunto il posto per la rubrica a cura di Paolo Pacitti, Quota Mille.

“E allora – prosegue Millanta – voglio soffermarmi su un suo scorcio, dove c’è una fontana, chiamata Sarracco, con i suoi due tipici archi. A risaltare subito sono i suoi mascheroni, che nascondono una curiosità: servivano infatti a far capire il ceto sociale delle persone che vi venivano a bere”.

“Sul primo infatti – spiega – è raffigurato il re, e vi bevevano i nobili maschi. Sul secondo c’è una regina, e vi bevevano le nobili donne. Nella terza c’è lo zoccolante, e vi bevevano i lavoratori. Nella quarta, infine, c’è un frate cappuccino, e qui bevevano frati, preti, suore e viandanti. Ma non finisce qui: in basso a sinistra c’è quest’altra cannella, posta più in basso: probabilmente serviva per i bambini. Quindi, quando verrete qui, occhio a dove bevete”.

Scura Maje, una delle canzoni abruzzesi più conosciute, utilizzata anche da Nino Rota in un film della Wertmuller: è il lamento di una vedova e ha origini antichissime. Pochi però sanno che questa canzone si è salvata fino a oggi grazie a un incontro fortuito.

E’ il 5 dicembre del 1952 quando a Scanno arriva un americano spettinato con un’enorme attrezzatura dietro: si chiama Alan Lomax, e di professione va a caccia di canzoni nei posti più remoti del pianeta.

Lomax domanda a tutti da chi possa ascoltare dei canti tradizionali, e la risposta è sempre la stessa: da Giuseppillo, al secolo Giuseppe Gavita, il menestrello di Scanno.

E le indicazioni lo portano dritti ad un’edicola: Giuseppillo infatti alternava al lavoro di giornalaio quella di cantore in matrimoni, battesimi e cerimonie.

Era un personaggio unico, amato da tutti per il suo buonumore e per l’amore per la vita nonostante fosse stata dura con lui: aveva infatti una gamba di legno, che divenne però bersaglio della sua ironia.

In pochissimo viene organizzata l’orchestrina. Lomax piazza i microfoni. Guarda Giuseppillo per vedere se è pronto. Poi preme rec. E lì, inizia la magia.

Giuseppillo inizia a cantare. Dietro di lui una chitarra e un violino. E canta a lungo, come sempre. Lomax è incantato.

Di quell’incontro restano un pugno di canzoni, salvate dalla dimenticanza e divenute oggi preziosa testimonianza, e il sorriso di Giuseppillo, che donò la sua voce a quello strano tipo americano.

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by Redazione
San Pietro della Ienca

San Pietro della Ienca, 1166 m.s.l.m. distante circa 20 chilometri da l’Aquila: si tratta di un piccolo gioiello posto alle pendici del Gran Sasso, ed è uno dei luoghi più suggestivi della regione.

Si trova nella valle del Vasto, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, e vive oggi una seconda vita grazie al turismo religioso.

Non ci sono notizie certe sulla fondazione del borgo, ma secondo alcuni nacque prima dell’anno mille a seguito della distruzione della vicina Forcona ad opera dei Longobardi.

Le telecamere Rai con Sem Cipriani son partite alla volta di questo splendido borgo, per conoscerne la storia e le sue peculiarità, insieme allo scrittore Peppe Millanta per la rubrica a cura di Paolo Pacitti,Quota Mille.

“Di certo, fu uno dei villaggi fondatori della città dell’Aquila: e fu proprio l’attrattiva del nuovo insediamento, con le sue possibilità di commercio, a causare a poco a poco lo spopolamento di questo borgo già nel XIV secolo – spiega Millanta – Il paese oggi si compone di pochissime abitazioni in pietra, un tempo antiche dimore di pastori che venivano qui per la transumanza verticale. Ma a colpire subito l’occhio è una bellissima chiesetta, oggi Santuario di Giovanni Paolo II”.

Il Papa infatti scoprì questo luogo per caso: era solito andare a sciare a Campo Imperatore quando a causa della eccessiva neve rimase bloccato da una bufera che lo costrinse a fermarsi qui, dove tornò spesso anche in seguito rapito dagli scenari, per immergersi in preghiera.

Fu proprio lui che incentivò il recupero del posto, e oggi la chiesa ospita una sua reliquia a simbolo della sua presenza in questo luogo, ed è diventata meta di pellegrinaggio.

E poco lontano da San Pietro, nella frazione di Assergi, c’è Grotta a Male, un tempo Amare, nel senso di impervia, che nasconde un primato inaspettato: è considerata la prima cavità esplorata in senso speleologico in Italia.

Francesco De Marchi, per primo esplorò la Grotta il 20 agosto del 1573, mentre rimaneva affascinato dai disegni scolpiti dall’acqua sulla roccia.

E in effetti lo stupore è tanto mentre si attraversano i vari ambienti, tra cui la Sala dell’Organo, chiamata così per il suono prodotto dall’acqua, e la Sala della Croce, per una croce incisa proprio dal De Marchi durante la sua esplorazione.

“In seguito – spiega lo scrittore – la Grotta è stata studiata in maniera approfondita, e oggi sappiamo che era in età preistorica un luogo di culto e di sepoltura, oltre che di lavorazione dei metalli: all’interno infatti sono stati trovati i resti di una fornace. Quella del De Marchi fu un’impresa davvero eccezionale se pensiamo alle attrezzature del tempo, e alla sua età: andava infatti per i 70 anni. Oggi, con la giusta attrezzatura e l’aiuto di professionisti, è possibile ripercorrere i suoi passi grazie a un percorso tracciato e un sistema di illuminazione”.

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by Redazione
Roccacerro

Roccacerro (Aq) 1.170 metri sopra il livello del mare, una frazione del comune di Tagliacozzo da cui dista solo 4 chilometri. Sita alle pendici del monte Bove, domina la sottostante piana dell’Ara dei Pali, fondamentale luogo di passaggio della Marsica occidentale.

Distese di boschi di querce e di castagne e profili di dolci montagne cingono il pittoresco centro: le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,“Quota Mille”.

Nel Medioevo il centro era noto come Rocca Cerri, e si sviluppò tutto intorno al centro fortificato, posto nella parte più alta del paese a guardia del passaggio sottostante.

Da non perdere è la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, edificata nel ‘700 su quello che rimaneva dell’antica rocca e della sua torre-cintata, che fu trasformata in campanile, acquisendo così il suo profilo caratteristico.

A causa della sua posizione strategica lungo la via Tiburtina Valeria, Roccacerro fu bombardata nel ’44 dagli alleati, per isolare le contraeree naziste presenti.

Sfortuna volle che il bombardamento avvenne proprio di domenica, nell’orario di uscita dalla messa, e una bomba cadde al centro della piazza. Fu una strage. L’episodio è ricordato da una targa ed ogni anno si svolge una commemorazione.

“E proprio a Roccacerro – spiega Millanta – è stata scattata una fotografia che nasconde una storia. Fu realizzata in una fredda giornata d’inverno di quasi 100 anni fa, dopo una nevicata che aveva ammantato tutto il paesaggio: sono però ben visibili il monte Bove sullo sfondo e il profilo del paese, con il campanile al centro. A realizzarla fu Thomas Ashby, un archeologo britannico e un vero pioniere nello studio della nostra regione. Ashby, venuto per la prima volta in Abruzzo per studiare il sito dell’antica Carsioli, si innamorò così tanto dei luoghi da tornarvi più volte tra il 1901 e il 1923. Lo fece per preservare i volti, gli usi e i costumi locali, avendo intuito che quel mondo stava per scomparire, inghiottito per sempre dalla modernità”.

“Bisogna fare di tutto per raccogliere quello che inesorabilmente sta scomparendo”, diceva. E compì allora un’operazione a quel tempo poco diffusa: produsse un corpus fotografico, oggi divenuto di fondamentale importanza, il cui valore non è dato tanto dalla perizia tecnica, spesso amatoriale, ma dalla singolarità degli eventi fotografati.

La riscoperta di questo corpus e di questo personaggio è avvenuta soltanto alcuni anni fa, e continua ancora oggi, con la stessa forza, a raccontare di un tempo che fu.

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by Redazione
pescasseroli

Pescasseroli (Aq), 1.167 metri sopra il livello del mare, proprio nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo; adagiato in una conca posta all’ingresso dell’Alta Valle del Sangro, il borgo è circondato da boschi centenari e montagne suggestive. È meta ogni anno di migliaia di turisti attratti dalle sue bellezze storiche e naturalistiche.

La parte più antica dell’abitato è costruita ai piedi di uno sperone, detto il “Pesco”, su cui si trovano i resti di un presidio che controllava l’altopiano denominato Castel Mancino.

Pescasseroli deve molta della sua importanza al tratturo che da qui portava a Candela, in Puglia. E quella via permise nei secoli lo scambio di idee, di credenze, e di manufatti. Come la Madonna Nera dell’Incoronata, probabilmente proveniente dall’Oriente, come altre dello stesso tipo, e arrivata fin qui grazie all’antico percorso.

Le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,“Quota Mille”.

“Oltre che per le sue bellezze naturalistiche, Pescasseroli è rinomata anche per aver dato i natali a Benedetto Croce, uno dei maggiori protagonisti della cultura italiana ed europea del ‘900. E proprio al suo ritorno qui, ormai adulto, donò il manoscritto di una delle sue opere più importanti: la Logica, che ora è custodito nell’archivio comunale. La fontana di San Rocco è uno dei simboli dell’avventura che più di tutte ha cambiato il destino recente delle nostre montagne: la nascita del Parco Nazionale d’Abruzzo. Avventura che si deve al sogno testardo di un visionario: Erminio Sipari” racconta Peppe Millanta.

Risiedeva a Pescasseroli, e da molti viene considerato uno dei padri dell’ambientalismo, che lottò per la salvaguardia della natura e per la tutela di animali in via d’estinzione come il camoscio e l’orso marsicano.

L’Alto Sangro, grazie al suo isolamento, aveva luoghi ancora incontaminati da preservare, e Sipari lavorava da questo paese per creare un’area naturale sul modello di Yellowstone.

La politica però rimase sorda ai suoi appelli, e Sipari allora si mosse in autonomia e prese in affitto 100 ettari che destinò a riserva protetta: si trattava del primo parco nazionale istituito in Italia, benché in forma privata.

“Ormai era fatta – spiega Millanta.– L’istituzionalizzazione arrivò nel 1923, e da allora il Parco è cresciuto in estensione e in iniziative. C’è una cosa che colpisce negli scritti di Sipari: l’idea che le meraviglie della natura facciano parte del patrimonio artistico di un paese. Una natura quindi da tutelare e ammirare come se fosse un’opera d’arte”. 

E a ricordare l’inizio di quella avventura ci sono soprattutto le numerose specie animali salvate dall’estinzione, e un modello di gestione diventato un punto di riferimento per tutto l’ambientalismo italiano.

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by Redazione
Frattura

Frattura, aggrappata a uno dei panorami più suggestivi d’Abruzzo, ricalca uno dei momenti più drammatici della regione Abruzzo. È posto a metà tra due mondi: da un lato il paesaggio lunare del Monte Genzana, dall’altra i boschi lussureggianti della Valle del Sagittario, con la vista unica sul lago di Scanno.

Frattura Vecchia, si trova a 1307 metri sopra il livello del mare, a qualche chilometro dal centro abitato di Scanno (L’Aquila): il borgo fu fondato dai conti Di Sangro intorno al X secolo e il nome deriva dalla frana, ancora oggi visibile, che in epoca preistorica sbarrò il sottostante fiume formando così il lago di Scanno. Le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,Quota Mille.

A differenza dei paesi vicini, che riportarono solo alcuni danni, Frattura fu completamente spazzata via dal terremoto del 1915, circostanza strana vista la lontananza dall’epicentro.

“La colpa fu proprio dell’antica frana su cui Frattura fu costruita: il materiale incoerente che viene smosso da una frana amplifica l’onda sismica, causando maggiori danni rispetto a edifici posti su un terreno roccioso –  spiega Peppe Millanta. – Fu una vera tragedia. Le vittime furono 120, quasi l’intera popolazione presente. Si trattava per lo più di donne e bambini, perché gli uomini transumavano in Puglia o erano emigrati negli Stati Uniti”. 

“Oggi l’unico abitante qui sembra essere il silenzio, e lo stupore nel vedere il paese restato immobile, come se fosse incastrato nell’ultimo frame della tragedia. Ma dove la storia di Frattura Vecchia finisce, inizia quella di Frattura Nuova” continua Millanta.

Dopo un periodo in cui gli abitanti furono spostati in un campo di casette prefabbricate, tra il 1932 e il 1936 fu infatti edificato il borgo nuovo. E a farlo fu Mussolini in persona: “Siamo in pieno regime fascista, e lo si nota dagli stilemi urbanistici tipici: gli edifici sono tutti perfettamente allineati e con linee pulite e semplici, mentre gli edifici pubblici sono posti al centro, come la chiesa e la scuola”.

Nel 1917 infatti, durante la Grande Guerra, Mussolini si trovava sul Carso quando durante un’esercitazione fu ferito da una pioggia di schegge. E pare che proprio in quel frangente fu salvato da un abitante di Frattura, all’epoca appena distrutta dal terremoto, che gli raccontò la sua sciagura. Dopo 20 anni il Duce saldò il suo debito costruendo tre caseggiati, marchiati con le prime tre lettere dell’alfabeto.

Oggi Frattura ospita il Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari, un vero e proprio museo etnografico dove viene raccontata la storia di Frattura Vecchia, e la costruzione del nuovo borgo.

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by Redazione
villetta barrea

Villetta Barrea (Aq), 990 metri sul livello del mare: come la vicina Civitella Alfedena, anche Villetta nasce a seguito della distruzione di Rocca Intramonti, intorno al 1400.

Adagiata lungo il fiume Sangro e dominata dai vicini monti, Villetta Barrea è ricca di scorci ed è famosa per le splendide escursioni naturalistiche che partono da qui: il vicino lago, i monti marsicani e la splendida Camosciara sono solo alcune delle mete raggiungibili.

“Il suo destino è stato strettamente legato all’andamento dell’industria armentizia: transumanza e pascolo degli ovini infatti sono stati l’ossatura del sistema economico di Villetta, come oggi ci ricorda il suo Museo della Transumanza” spiega lo scrittore abruzzese Peppe Millanta che, insieme a Sem Cipriani e le telecamere Rai, ha raggiunto questo caratteristico luogo per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti, “Quota Mille”.

Come prosegue Millanta:

Qui, comunque, a farla da padrona è la natura: non sarà affatto difficile infatti fare incontri particolari lungo le suggestive vie del borgo. A Villetta Barrea c’è anche uno dei simboli più famosi del parco, e quando ci si trova ai suoi piedi è facile intuirne il motivo ed è il Faggio del Pontone: si tratta di un albero monumentale alto ben 25 metri e con un diametro di più di 8. Si pensa che sia il risultato di più alberi cresciuti insieme e poi fusi in uno, diversi secoli fa. Pensate, per alcuni è qui a dominare il bosco addirittura da 750 anni. Potremmo definirlo il ‘faggio madre’, perché è stato salvato dal taglio per la legna affinché potesse spargere i suoi semi per far crescere nuovi faggi.

A Villetta Barrea, dove un tempo c’era un’umile casa, ha inizio una delle storie più incredibili dell’Abruzzo montano: quella di Benedetto Virgilio, il poeta bifolco, che dai pascoli abruzzesi arrivò a suon di versi fino a Roma.

Nacque nel 1602 da una famiglia di umili origini, dedita alla pastorizia e all’agricoltura. Ed è proprio durante le pause che l’attività di pastore gli concedeva, che il giovane Benedetto, da autodidatta, impara a leggere e a scrivere, dilettandosi nello studio dei maggiori poeti italiani: Dante, Ariosto e Tasso.

Dopo alcune composizioni estemporanee, Benedetto decide di lanciarsi addirittura nella composizione di un poema, che dedica alla vita di Sant’Ignazio da Loyola, padre dei Gesuiti.

L’opera ebbe un’eco incredibile sia nel Regno di Napoli, che poi in tutta Italia, tanto che il Poeta Bifolco, come iniziarono a chiamarlo, fu invitato a trasferirsi a Roma dai Gesuiti.  Presto entrò nelle grazie di Papa Alessandro VII, che gli concesse una stanza in Vaticano, una pensione da 70 scudi annui e la croce di Cavaliere di Cristo, uno dei riconoscimenti più prestigiosi del Vaticano.

Dopo aver continuato a comporre versi nei migliori salotti romani, Benedetto morì nel 1666 e fu sepolto addirittura nella Basilica di San Pietro, dove ancora oggi riposa, vicino a Papi e Santi.

E proprio Papa Alessandro dettò per lui questo epitaffio, riportato sulla targa: “Non sarei stato inferiore a Virgilio se la sorte avesse fatto nascere me cittadino e lui agricoltore”.

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by Redazione
Colli di Monte Bove

Colli di Monte Bove, 990 metri sul livello del mare, frazione del comune di Carsoli (Aq) posta lungo la catena montuosa dei monti Carseolani, è dominata dai resti del castello dei conti dei Marsi. Anticamente, questo, è stato un luogo di passaggio obbligato tra il Lazio e l’Abruzzo: qui infatti passava l’antica via Tiburtina Valeria.

Il borgo nacque come avamposto dell’antica colonia romana di Carsioli, e nei secoli fu possedimento degli Orsini e dei Colonna. Nel Medioevo era un luogo molto ambito, perché si trovava proprio a confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio.

 “E Colli fungeva da Dogana, ed era chiamata per questo Colli Catena: qui infatti, nei pressi di questa porta, c’era una catena che serviva a sbarrare la strada ai viandanti, e che veniva tolta soltanto dopo il pagamento per consentire il passaggio. Per evitare però i soprusi da parte dei gabellieri, il Re fu costretto a incidere su quella lastra di marmo le varie tariffe, in base a quello che veniva trasportato, che diventavano in questo modo facilmente consultabili evitando imbrogli”. A parlarne è lo scrittore abruzzese Peppe Millanta che, insieme a Sem Cipriani e le telecamere Rai, ha raggiunto questo caratteristico luogo per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti, Quota Mille.

Si racconta che il paese assunse il nome attuale durante i lavori della ferrovia: mentre veniva scavata la galleria fu ritrovata infatti una grande testa di bue scolpita nella pietra, poi sparita. Oggi Colli è rinomata soprattutto per aver dato i natali a San Berardo, il santo patrono della Marsica, a cui è intitolata, qui, una chiesa.

E proprio a Colli di Montebove, posta a mille metri d’altezza, c’è la grotta di Sant’Angelo. La cappella è stata realizzata usando la conformazione della roccia, e presenta un ciclo affrescato della seconda metà del ‘200 attribuibile probabilmente ad un autore locale, richiamando nell’uso dei colori e nello stile l’arte bizantina.

Il ciclo pittorico rappresenta delle figure di santi con al centro una Madonna seduta su un trono, nell’atto di offrire il seno destro al figlio: si tratta della Madonna del Latte. Tradizione vuole infatti che all’interno della grotta crescano delle foglioline che, cotte nel brodo, venivano fatte bere alle puerpere per favorire l’abbondanza di latte.

“Tante sono le leggende che si annidano in questo luogo. Secondo una tradizione secolare, in uno di questi anfratti sarebbe nascosta addirittura una treccia dei capelli della Madonna, mentre al piano superiore, da una falda nella roccia, sgorgherebbe il sangue dei Martiri. Il motivo di tutte queste storie è chiaro una volta arrivati qui: raramente infatti si incontrano posti più suggestivi di questo” conclude Millanta.

Il viaggio tra i borghi d’Abruzzo continua su Buongiorno Regione; novità, curiosità e qualche piccola anticipazione sono sulla pagina Facebook  https://www.facebook.com/peppemillanta, dov’è possibile saperne di più anche sulla puntata dedicata alla frazione di Colli di Monte Bove.

 

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