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Category Archives: Turismo

Tremonti

Frazione di Tremonti del vicino comune di Tagliacozzo (Aq) 1.060 metri sopra il livello del mare: abbarbicata alle pendici del monte Pietra Pizzuta, è circondata dai monti Carseolani.

Confina con la riserva naturale regionale Grotte di Luppa, e per secoli è stata uno dei punti di osservazione più importanti della zona. Le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,Quota Mille.

“Il nome deriva dalla sua posizione, inter montes, appunto ‘tra i monti’ – spiega Millanta -, a rimarcare il suo ruolo di sentinella appostata tra le alture.  Il borgo nacque e si sviluppò nel medioevo, intorno alla fortezza costruita dalla famiglia Orsini, un tempo padrona di queste terre: era in contatto visivo con analoghe strutture militari e serviva a controllare i confini marsicani e il tracciato originario della via Valeria”.

Come prosegue Millanta:

 In questi luoghi è possibile trovare tracce di quando l’immaginazione popolare si nutriva ancora di leggende cavalleresche e imprese eroiche: la magica terra d’Abruzzo infatti, dopo la dominazione dei Franchi, fu da subito il terreno ideale per la diffusione di leggende sui Paladini, e la toponomastica di alcune zone ne è ancora intrisa. Ne è un esempio la montagna di Montebove. Il suo nome deriverebbe da Bovo d’Antona, un paladino compagno di Orlando. Sì, proprio quello della Chanson de Roland. Secondo la leggenda i due si sarebbero appostati proprio lì su a spiare l’arrivo dei Saraceni, in un luogo ancora oggi chiamato Guardia d’Orlando.

La storia dell’uomo è frutto anche di percorsi, cammini, tragitti, viaggi, spostamenti e di strade proprio come è accaduto qui, dove passava l’antica via Tiburtina Valeria, una delle opere ingegneristiche più importanti realizzate dai Romani, capace di cambiare il volto alla regione: fu realizzata intorno al 300 a.C. dal console Marco Valerio Massimo Potito, che allungò il precedente tratto che arrivava fino a Tibur, l’attuale Tivoli, fino a raggiungere l’antica Corfinium, nella valle Peligna. Dal nome del tracciato originario e del console che la costruì la si chiamò Tiburtina-Valeria.

L’opera si rese necessaria per scopi difensivi: pochi anni prima infatti i romani avevano fondato due nuove colonie in Abruzzo ossia Alba Fucens e Carseoli.

ori. Da qui la necessità per i romani di movimentare in maniera più veloce le proprie truppe.

La strada fu quindi la soluzione che permise loro di vincere, nonostante le difficoltà di costruire sui luoghi impervi dell’Appennino ed infatti come prosegue Peppe Millanta: “fu successivamente Claudio che allungò ulteriormente il tracciato fino a Ostia Aterni, l’attuale Pescara, congiungendo il Tirreno con l’Adriatico. E proprio lungo il percorso sorsero luoghi come Tremonti, con la sua torre, posta a guardia di questa via di comunicazione fondamentale. Anche le strade, però, invecchiano. E così è successo alla via Tiburtina. Una delle opere ingegneristiche più complesse del tempo, lunga 200 km con due valichi posti a più di mille metri, ha lasciato il passo alla più veloce autostrada”.

Certo è che l’antica strada è ancora qui.

Il viaggio tra i borghi d’Abruzzo continua su Buongiorno Regione; novità, curiosità e qualche piccola anticipazione sono sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/peppemillanta, dov’è possibile saperne di più anche sulla puntata dedicata alla frazione di Tremonti.

by Redazione
rocca calascio

Rocca Calascio (L’Aquila) 1.410 metri sul livello del mare, unica frazione del Comune di Calascio, è una delle icone più famose d’Abruzzo, simbolo di un tempo in cui la ricchezza e il potere abitavano in alta quota, ed è raggiunta ogni anno da migliaia di turisti e visitatori.

Da questo punto si possono osservare il Gran Sasso, il Sirente Velino, la Marsica e la Maiella in una panoramica a 360 gradi unica. Le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti, Quota Mille.

“Il borgo – spiega Peppe Millanta – si sviluppò nel Medioevo intorno alla torre di avvistamento, poi divenuta castello, costruita nell’anno 1140 a seguito della conquista normanna, per volontà di Re Ruggero d’Altavilla. Il motivo per cui una costruzione così imponente fu costruita proprio qui è semplice: per controllare l’immensa spianata che oggi chiamiamo Campo Imperatore, e che un tempo era una sorta di enorme cassaforte, facilmente difendibile grazie alle montagne che la cingono tutta intorno”.

“Ma una cassaforte per custodire cosa? – s’interroga – Uno dei beni più preziosi che in passato si potevano possedere: le greggi, da cui ricavare la ricercatissima lana. A ricordarcelo anche la parola pecunia, che deriva proprio dal latino pecus, che sta per bestiame. Dopo i fasti del periodo della transumanza, iniziò a poco a poco il declino di Rocca Calascio, che ebbe un brusco tracollo nel 1703, con il Grande Terremoto dell’Aquila: il borgo infatti fu quasi completamente abbandonato e la popolazione si trasferì nella sottostante Calascio, fino ad essere definitivamente abbandonato nel 1957″.

Lungo un sentiero, immersa in uno scenario da capogiro, c’è la splendida chiesa, intitolata a Santa Maria della Pietà che come spiega Millanta:

Si ritiene sia stata costruita tra la fine del ‘500 e i primi anni del ‘600, in segno di gratitudine verso la Madonna. La si voleva ringraziare infatti per la vittoria ottenuta contro una grossa banda di briganti provenienti dallo Stato Pontificio, che attentavano alle greggi. Ciò che risalta subito è l’armoniosa struttura, con la sua particolare forma ottagonale che ricalca una simbologia ben precisa. Il numero otto infatti rimanda all’ottavo giorno, simbolo della Resurrezione, e all’Infinito, rappresentato da un otto posto in orizzontale. Un modo quindi per comunicare l’armonia del Creato ai pastori che salivano fin qui, ancor prima che ascoltassero una messa in latino che probabilmente non avrebbero compreso.

E a raccontare che i destinatari fossero proprio i pastori è un’insolita finestra, posta al primo piano. Aveva uno scopo ben preciso: serviva per permettere ai pastori di assistere alla messa mentre controllavano le pecore portate al pascolo.

Il viaggio tra i borghi d’Abruzzo continua su Buongiorno Regione; novità, curiosità e qualche piccola anticipazione sono sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/peppemillanta, dov’è possibile saperne di più anche sulla puntata dedicata a Rocca Calascio.

by Redazione
calascio

Calascio (L’Aquila), 1.210 metri sopra il livello del mare: con la sua Rocca, è uno dei simboli più famosi d’Abruzzo. Posta in una posizione mozzafiato, a cavallo tra la piana di Campo Imperatore e la valle del Tirino, si trova all’interno del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.

Le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,Quota Mille.

E’ evidente lo stretto rapporto che il borgo ha con la transumanza: è facile infatti restare affascinati di fronte alla chiesa dedicata a San Nicola, il santo dei pastori, o imbattersi addirittura in sculture di pecore.

“Una traccia di quell’antica ricchezza – evidenzia Millanta – la ritroviamo all’interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, eretta a fine ‘500, un luogo incredibile perché le famiglie proprietarie delle greggi facevano a gara per avervi ognuna il proprio altare, che arricchivano in segno di potere”.

L’interno Santa Maria delle Grazie è ricco di opere e oggetti di estremo pregio, al passo con le mode dei maggiori centri italiani ed europei. Gli altari: sembrano di marmo, il materiale nobile per eccellenza, che però in Abruzzo non c’era. E allora ci si era ingegnati realizzandoli in legno, per poi di trattarli in modo da sembrare marmo.

Tra le opere presenti, c’è anche quella del Cavalier d’Arpino, il maestro di Caravaggio.

“Nella piazza principale di Calascio – racconta Millanta – c’è una fontana che racconta una storia fatta di comunione e di riscatto ed è dedicata a una certa donna Filonilla. L’inizio della storia si perde nella notte dei tempi, perché da sempre l’acqua è stato il grande problema dei calascini, che hanno sofferto la sete per secoli. Unico mezzo per l’approvvigionamento erano delle cisterne che raccoglievano l’acqua piovana dai tetti, appannaggio delle classi più ricche, mentre tutti gli altri erano costretti a rifornirsi nel vicino laghetto. A metà dell’800 però fu finalmente individuata una sorgente, ma la gioia degli abitanti si smorzò quasi subito: si trovava infatti ad una altitudine di 2600 metri e a una distanza di 13 km, e lo Stato non era in grado di coprire i costosissimi lavori. Come per una maledizione l’acqua, a Calascio, sembrava non dover arrivare mai. Fu a quel punto però che entrò in scena una donna ricca e visionaria, Filonilla Frasca, che era convinta che se i calascini volevano l’acqua, dovevano farcela da soli. Offrì quindi le prime 40mila lire, una vera fortuna per quei tempi, contagiando con il suo entusiasmo i compaesani in un processo virtuoso: ogni abitante iniziò a contribuire con quanto poteva. Chi non aveva nulla donava il proprio lavoro, chi era all’estero spediva il denaro. Lavorarono tutti, contro la neve e la pioggia, giorno e notte, strappando al difficile terreno metro dopo metro una conduttura che portò finalmente l’acqua a Calascio”.

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Opi

Opi (L’Aquila) 1.250 metri sopra il livello del mare, si trova nel bacino dell’Alto Sangro e sorge proprio al centro di un suggestivo anfiteatro composto dai monti Marsicani.

Il borgo è incluso nell’area del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, e ha meritato la bandiera arancione dal Touring Club Italiano. Il borgo ha incuriosito le telecamere Rai che con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,“Quota Mille”.

“L’origine del nome – spiega Millanta – è incerta. Potrebbe derivare dal termine indigeno “ops”, cioè lavoro agricolo, o dal latino “oppidum”, ovvero città fortificata. Secondo altri invece, è legato alla divinità arcaica romana di Ope, dispensatrice dell’abbondanza, cui forse in tempi antichi era dedicato un tempio posto proprio su questa collina. Opi ha conservato intatte le sue caratteristiche originarie: nasce infatti nel tardo medioevo, nel periodo dell’incastellamento, e così è rimasta da allora, con la caratteristica struttura “a fuso”, con le case tutte vicine l’una all’altra a comporre una fortificazione verso l’esterno”.

Opi ha la sua importanza anche perché qui è stato salvato il camoscio d’Abruzzo: la specie fu scoperta nel 1899 ed è stata distinta dal camoscio alpino, con cui veniva confusa; a più riprese ha rischiato l’estinzione.

Nel 1913 fu istituita anche una legge che ne vietava la caccia, la prima del genere in Italia, ma non bastò: negli anni ’20 non erano rimasti che 15-20 capi. La svolta si ebbe con l’istituzione del Parco Nazionale, nel 1922 e come specifica Millanta: “Un’attenta gestione degli animali, e luoghi di sensibilizzazione come il Museo, hanno permesso oggi la presenza in Abruzzo di circa 3200 animali, divisi in 5 colonie presenti nei maggiori Parchi della Regione”.

Il borgo di Opi è famoso anche per il legame con l’artista olandese Escher, probabilmente il più grande incisore del ‘900: un vero e proprio rivoluzionario per tutto quello che riguarda la prospettiva e la divisione dello spazio.

Celebri sono i suoi disegni rompicapo, le sue scale senza fine, i suoi paradossi geometrici; si spinse fino ad Opi per realizzare un libro illustrato dedicato all’Abruzzo, regione di cui si era innamorato tanto da visitarla più volte.

L’accoglienza in questa terra in realtà non fu delle migliori: Escher infatti al suo arrivo fu scambiato addirittura per uno degli attentatori del Re Vittorio Emanuele III, e quindi interrogato e trattenuto dalle forze dell’ordine.

Chiarito l’equivoco, Escher realizzò così 28 incisioni raffiguranti alcuni dei borghi abruzzesi che incontrò nel suo vagabondare a dorso di mulo, tra cui appunto il borgo di Opi, visto da questa prospettiva inusuale; il libro non fu dato mai alle stampe, ma oggi il profilo di Opi, grazie al tratto unico di Escher, è ammirato ogni anno da migliaia di ammiratori dell’incisore olandese, che nelle sue lettere riguardo ai suoi viaggi in Abruzzo diceva “Mi piace godermi l’inatteso”.

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bisegna

Bisegna (L’Aquila) 1.210 metri sopra il livello del mare; sorge su uno sperone roccioso posto ai piedi della Montagna Grande, proprio all’inizio della Valle del Giovenco.

È situato all’estremità settentrionale del Parco Nazionale d’Abruzzo, ed è punto di partenza di numerosi itinerari naturalistici. Le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,“Quota Mille”.

Il borgo attuale, edificato nel periodo dell’incastellamento, probabilmente sorge sulle rovine dell’antico castello Visinio, dei Marsi, distrutto nel 270 a.C.

Il nome potrebbe significare “esce dal fiume”, a ricordare la presenza qui della sorgente del Giovenco, e si è modificato nel tempo fino all’attuale denominazione di Bisegna.

La fortuna del borgo – spiega Millanta – è sempre stata legata alla sua posizione strategica: qui infatti il Fucino si collega con la Marsica, e ne è testimonianza la torre, utilizzata in passato per gli avvistamenti e per il controllo del passo, e in collegamento ottico con altre torri poste lungo la valle. Ma sparsi per il borgo ci sono dei segni più meno evidenti, che ci possono raccontare molto dell’importanza del luogo. Si tratta – prosegue – di queste mezzelune, che troviamo scolpite in molte costruzioni: rappresentano il crescente lunare, simbolo della famiglia romana dei Piccolomini, signori del luogo. Poco più avanti troviamo incisa la scritta ‘Audaces Fortuna Iuvat 1541’ e al centro una mezzaluna posta su una colonna: con ogni probabilità celebra un avvenimento accaduto tra i Piccolomini e i Colonna, i loro acerrimi nemici, che avevano come stemma, appunto, una colonna.

Nei dintorni di Bisegna si trovano delle pietre rossastre: si tratta di bauxite, un minerale da cui si estraggono ferro e alluminio; a San Sebastiano dei Marsi infatti, frazione di Bisegna, nel 1844 fu costruita una ferriera, di cui oggi si possono ammirare i resti, che veniva rifornita grazie ad un sentiero d’alta quota che arrivava fino alla miniera della vicina Lecce nei Marsi, nella località non a caso definita Collerosso.

A parlarne è anche un testimone d’eccezione, il viaggiatore e scrittore inglese Edward Lear, che passò di qui l’anno prima della sua apertura e che riporta nel suo diario un divertente aneddoto: pare che nello stesso periodo, nelle vicinanze, fosse stata aperta anche una fabbrica per estrarre lo zucchero dalle patate, e che gli abitanti, di fronte a tutte queste novità, fossero ancora un po’ confusi, tanto da domandargli se fosse uno di quegli stranieri arrivati lì per tirare fuori lo zucchero dal ferro.

Fu scelto proprio questo luogo per alcuni fattori strategici, come l’abbondanza delle acque, e la vicinanza dei boschi per il legname. E da qui quindi si può immaginare che partisse una lunga processione di animali da soma, muniti di ceste e sacchi.

La ferriera produceva per lo più oggetti per il camino, grate, e ringhiere per i balconi, come se ne vedono ancora tante per le case del paese, e fu dismessa alcuni decenni dopo. Oggi sul posto sono ancora visibili i suoi ruderi, mentre si è lasciato spazio alla costruzione dell’acquedotto.

Ma il percorso che portava dalla miniera alla ferriera compone oggi il Cammino della Bauxite, inserito nella Rete Italiana dei Cammini.

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Ovindoli

Ovindoli (L’Aquila),1375 metri sopra il livello del mare. Situato nell’Altopiano delle Rocche, è una delle mete turistiche più apprezzate della regione Abruzzo, grazie al comprensorio sciistico del Monte Magnola, uno dei più frequentati del centro e del sud Italia.

Secondo alcuni il nome deriverebbe da “ovis”, per via dell’attività pastorale che su questo altopiano, si è sempre svolta sin dai tempi de marsi: le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti,“Quota Mille”.

“Ovindoli – racconta Millanta – ha un importante passato storico. Proprio nel palazzo che gli abitanti chiamano di Re Zappone, Ovindoli ha incrociato il proprio destino con la Grande Storia: secondo la leggenda, infatti, nel 1268 vi sostò Carlo d’Angiò, la notte prima di scendere con le sue truppe verso i Piani Palentini per scontrarsi contro Corradino di Svevia nella celebre battaglia di Tagliacozzo. L’evento colpì così tanto l’immaginario del tempo, da essere cantata da Dante nella sua Divina Commedia”.

Altra meraviglia di Ovindoli è il “casale delle Rocche” costruito nel 1939 dai Torlonia, è in una posizione nascosta e isolata dal resto del paese: “e proprio per la sua posizione strategica fu utilizzato come avamposto della Luftwaffe dai tedeschi che lo ribattezzarono “il nido dell’aquila”, da qui infatti si domina interamente la piana del Fucino, ben protetti dagli alberi secolari. In paese – prosegue Peppe Millanta – circola una leggenda: sembra che ci sia una stanza, dove è possibile ascoltare tutti i discorsi pronunciati in ogni altro luogo della struttura: la chiamano la stanza dell’impiccato, ed è situata nella torretta più alta”.

A San Potito, frazione di Ovindoli, giace una villa imperiale di epoca romana, risalente con ogni probabilità al I secolo d.C., al tempo dell’incredibile impresa del prosciugamento del sottostante Lago Fucino da parte di Claudio: fu scoperta negli anni ’80, e si stima abbia dimensioni notevoli, tanto da comprendere al suo interno le terme, un anfiteatro e persino un piccolo teatro.

Come spiega Millanta:

La tradizione l’attribuisce a Lucio Vero, l’Imperatore dimenticato. Era infatti il fratello minore del ben più famoso imperatore Marco Aurelio, con cui spartì il ruolo di co-imperatore, un evento senza precedenti fino ad allora nell’Impero. Lucio Vero è famoso soprattutto per la vittoriosa campagna militare attuata contro i Parti, in Mesopotamia, da cui tornò carico di onori e di ricchezze. Quella spedizione, però, nascondeva una tragedia inaspettata: la ‘peste antonina’, che le legioni guidate da Lucio Vero contrassero in Oriente e diffusero nell’Impero al loro ritorno. Si trattò di un disastro immane, che decimò la popolazione e imperversò per oltre 30 anni in tutta Europa. Secondo la leggenda Lucio Vero, subito dopo quella campagna, si ritirò proprio a San Potito, nella sua villa, per rimediare a un “mal d’occhio” contratto in battaglia e proprio durante quel soggiorno gli furono condotti davanti in catene il martire Simplicio e i suoi due figli, Costanzo e Vittoriano, che stavano creando scompiglio a Roma per i loro miracoli. Di fronte al loro rifiuto di rinnegare Dio e di adorare gli idoli pagani, Lucio Vero decise di farli decapitare, ma non appena le loro teste toccarono terra, vennero fuori dal terreno tre zampilli di acqua purissima, mentre la terra prese a tremare.

E le reliquie dei tre santi sono oggi conservate nella vicina Celano, dove sono i Santi Patroni.

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by Redazione
Villavallelonga

Villavallelonga (L’Aquila) 1005 metri sopra il livello del mare. Grazie all’isolamento di cui ha goduto per secoli presenta una natura incontaminata e di bellezza unica.

Fu una parte dei suoi rilievi a formare il primo nucleo della Riserva reale dell’Alta Val di Sangro, base del futuro Parco Nazionale d’Abruzzo: le telecamere Rai con Sem Cipriani si sono spinte fin qui insieme allo scrittore Peppe Millanta per una nuova puntata della rubrica a cura di Paolo Pacitti, Quota Mille.

“Il nome – spiega Millanta – richiama la posizione geografica del borgo: la Villa è infatti il punto più alto della vallata, dove oggi sorge il centro storico del paese, che si sviluppò intorno all’anno mille e che nel Medioevo veniva chiamato Rocca di Cerro. La vallata porta questo nome, Vallelonga, per le lunghe montagne che la delimitano, e per la forma allungata che la contraddistingue. Un tempo la valle era denominata Valle Transacquana, da Trans Aquas, ovvero valle situata al di là delle acque, quando ancora c’era il lago Fucino a delimitarne la parte occidentale”.

Molte sono le leggende che attraversano questi boschi già dai tempi dei Marsi, gli incantatori di serpenti, che li popolarono. Oggi una di queste è legata alla piccola Chiesa della Madonna della Lanna: un punto di riferimento per chi attraversa i boschi; da qui passavano i pastori nella loro transumanza in Puglia.

Come continua Millanta: “Proprio a Villavallelonga è stata scoperta la faggeta più antica d’Europa: quella di Val Cervara, una delle cinque faggete che dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO si trovano in Abruzzo, e sono tutte situate nei dintorni: veri e propri scrigni, che al loro interno conservano specie rare o endemiche. Molti di questi alberi si stima che abbiano più di 500 anni”.

La faggeta di Val Cervara ha anche un’altra peculiarità: è l’unico esempio conosciuto di foresta primaria in Italia; si tratta in pratica di un ultimo baluardo di una natura incontaminata.

Un ecosistema soggetto soltanto alle leggi della Natura, che segue processi non viziati dalla presenza dell’uomo: qui gli alberi nascono, crescono, competono tra loro, si seccano e muoiono, lasciando spazio ad altra vita, in un ciclo perpetuo che attraversa le stagioni, gli anni, i secoli.

“Si tratta di un patrimonio unico da difendere, che necessita di un approccio responsabile e rispettoso: un santuario al potere della vita e alla capacità della natura di stare sempre in equilibrio” conclude Peppe Millanta.

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by Redazione
Rocca di Mezzo 

Rocca di Mezzo (L’Aquila), 1329 metri sopra il livello del mare. Situato alle pendici di Monte Rotondo, Rocca di Mezzo è un luogo unico per gli scenari che la contornano.

Sede del Parco naturale regionale Sirente-Velino del suo territorio fanno parte anche i suggestivi Piani di Pezza, ed è collocato tra le due stazioni sciistiche di Campo Felice e della Magnola: ciò la rende una ambita meta turistica. Le telecamere Rai con Sem Cipriani, hanno raggiunto questo borgo insieme allo scrittore Peppe Millanta per la rubrica a cura di Paolo Pacitti,Quota Mille.

Come racconta Millanta: “Le vicende storiche del paese sono strettamente legate all’Altopiano delle Rocche: il lungo periodo di innevamento, le asperità naturali e la scarsità di comunicazioni hanno provocato infatti un isolamento duraturo nel tempo. Eppure è sempre stata una zona molto ambita, per la ricchezza dei suoi pascoli e per la sua posizione strategica, proprio a cavallo tra Celano e l’Aquilano”.

“Il nome –prosegue – deriva dalla presenza in epoca medievale di una rocca, tutt’oggi visibile, e dalla sua posizione, centrale all’interno dell’altipiano rispetto alle altre rocche che la costellano. Secondo la tradizione, il borgo attuale fu fondato intorno all’anno mille, da quattro comunità dedite alla pastorizia e all’agricoltura che si riunirono per ragioni difensive”.

Osservando lo sviluppo dell’abitato di Rocca di Mezzo è possibile riconoscere almeno tre fasi della sua storia, essendo il paese diviso in tre parti: il Borgo, di origini medievali, è il nucleo più antico del paese, posto sulla cima del colle, con case in pietra, vicoli ripidi e la Chiesa Madre; la Morge, alle pendici del colle, edificato intorno al 1500, dove si trovano tratti di mura del borgo medievale e i rinomati “Tre Archi”; il nuovo incasato, sull’altopiano, costruito nel ‘900, con alcuni edifici con influenza liberty.

Federico Fellini scelse questo borgo per girare alcune scene di uno dei suoi film più importanti, La strada: film ferocemente criticato a Venezia, perché tradiva gli stilemi del neorealismo a favore della favola e dello spiritualismo, temi che diventeranno poi centrali nella produzione felliniana, incarnando uno stile nuovo che alcuni chiameranno “realismo visionario”. Eppure si aggiudicò il premio Oscar. Tra gli sceneggiatori, c’era Ennio Flaiano.

“Fellini – conclude Millanta– scelse questi luoghi perché gli avevano assicurato che qui avrebbe nevicato. Erano arrivati invece alla fine delle riprese e della neve non c’era traccia. Fellini andò a dormire tormentato prima dell’ultimo giorno di lavorazione, ma quando si svegliò, trovò Rocca di Mezzo “imbiancata”: non si trattava di neve ma erano lenzuola, sequestrate a tutte le famiglie del posto e allestite per l’occasione da uno dei collaboratori del Maestro”.

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Castelvecchio Calvisio 

Castelvecchio Calvisio (L’Aquila) 1.045 metri sul livello del mare, sorge tra le montagne del Gran Sasso e la Valle del Tirino; situato nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ne costituisce di fatto una delle porte di accesso meridionali.

Le telecamere Rai con Sem Cipriani, hanno raggiunto questo borgo insieme allo scrittore Peppe Millanta per la rubrica a cura di Paolo Pacitti, Quota Mille: le sue origini sono difficili da ricostruire ma si pensa che risalga all’antica Calvisia, città di origine romana; l’odierno centro abitato fu edificato durante il periodo feudale, quando i piccoli agglomerati della zona circostante per motivi di sicurezza confluirono nello stesso luogo, adatto alla difesa ed al controllo del territorio.

Molte importanti famiglie si susseguirono al potere: questo fa comprendere l’importanza strategica del posto, vera porta d’accesso alla Piana di Campo Imperatore e alle sue preziose greggi.

Come spiega Peppe Millanta: “Il borgo di Castelvecchio Calvisio è anche rinomato per una scoperta avvenuta negli anni ’90: qui è stata ritrovata la Adonis Vernalis, un fiore di cui si erano perse ormai le tracce da tempo in Italia e che molti ritenevano estinto. Prende il nome da Adone, il dio greco: secondo la leggenda alla sua morte Venere, innamorata pazza di lui, trasformò alcune gocce del suo sangue in questo fiore per continuare ad averlo vicino, ma appassì e Zeus per lenire il dolore di Venere permise ad Adone di venire via dall’Ade ogni anno per quattro mesi che è all’incirca il periodo di fioritura di questa pianta che è possibile ammirare qui da aprile a giugno”.

Castelvecchio Calvisio è una vera attrazione a cielo aperto: un esempio unico di impianto urbanistico giunto intatto fino ai giorni nostri, derivante da un raro caso di pianificazione medioevale.

Ogni dettaglio architettonico qui è stato infatti studiato per massimizzare le possibilità di difesa e diversi sono i particolari che rivelano questo aspetto; inoltre la pianta del borgo traccia un’ellisse perfetta con due ingressi speculari e presenta delle strette stradine coperte da volte ed archi, con le caratteristiche case che si sviluppano su più livelli, raggiungibili grazie a ripide scale che poggiano su mensole dette “barbacani”.

Il viaggio tra i borghi d’Abruzzo continua su Buongiorno Regione; novità, curiosità e qualche piccola anticipazione sono sulla pagina Facebook peppemillanta, dov’è possibile saperne di più anche sulla puntata dedicata a Castelvecchio Calvisio.

scontrone

Il pittoresco borgo di Scontrone sorge su uno sperone del Monte Tre Confini, allo sbocco della gola di Barrea, proprio al confine con il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Il paese è costituito dal borgo centrale, posto in posizione collinare, e dal borgo a valle chiamato Villa Scontrone, più riparato e verdeggiante. La natura qui è stata generosa, con il fiume Sangro ad attraversarlo e i Monti della Meta come scenografia.

Le telecamere Rai con Sem Cipriani son partite alla volta di questo borgo, uno dei luoghi più “panoramici” in assoluto per conoscerne la storia insieme allo scrittore Peppe Millanta per la rubrica a cura di Paolo Pacitti,Quota Mille: da qui passavano le greggi sul Regio Tratturo che da Pescasseroli portava a Candela, da qui erano visibili le prime locomotive di quella che è diventata oggi la Transiberiana d’Italia. E sempre da qui passò la Linea Gustav durante la Seconda Guerra Mondiale.

Vista questa ricchezza storica, non è un caso se oggi Scontrone è definito “Il Paese dei Musei”, il suo centro storico presenta murales che lo colorano, se ne contano addirittura cinque, ed è presente anche il Centro di documentazione Paleontologica, uno dei più importanti per lo studio del Miocene superiore.

“L’origine del nome Scontrone è tuttora incerta – spiega Peppe Millanta – Per alcuni deriverebbe da una parola di origine germanica, legata a un personaggio di origine longobarda. Per altri dal greco, e starebbe per ‘grossa pietra’. Agli abitanti però piace pensare che il nome derivi da un enorme scontro avvenuto proprio tra i suoi monti tra Romani e Sanniti”.

E’ a Scontrone che nel 1921 nacque la Società Anonima Birra d’Abruzzo: nel birrificio lavoravano circa 120 persone, principalmente del posto, che utilizzavano soltanto prodotti locali come la buonissima acqua del Sangro per preparare la “Bionda d’Abruzzo”.

Come racconta Millanta:

Nel giro di pochi anni, grazie alla sua qualità e al suo prezzo, la società riuscì incredibilmente a triplicare la propria produzione annua, avvalendosi anche dell’aiuto del vicino tracciato ferroviario, che permise al birrificio di raggiungere capillarmente città, borghi e villaggi, anche i più sperduti della regione. La Società crebbe così tanto da non riuscire più a soddisfare le richieste neanche con i turni di notte e con l’installazione di imbottigliatrici automatiche, mentre conquistava via via fette di mercato sempre più ampie raggiungendo Roma e perfino Milano. Quei numeri però fecero tremare qualcuno, e nel 1930 un grande marchio del nord, sempre più preoccupato da questa temibile concorrenza, decise di acquistare il pacchetto di maggioranza della società. La fabbrica a poco a poco fu lasciata spegnersi, e fu chiusa già nel 1936, mettendo purtroppo fine a questo miracolo economico tutto abruzzese.

Oggi Scontrone sta lavorando per rilanciare l’ex birrificio, con l’intento di farlo tornare ad essere nuovamente una risorsa per il territorio.

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by Redazione